PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

CATEGORIE

24.12.11

CulturaINProfessione/Management Culturale: Alle radici del talento

                

               
Intervista a Natascia Pane, Literary Manager



La storia di Natascia Pane è la storia di Contrappunto Literary Agency e viceversa. Perché le due traiettorie, quella personale e quella professionale sono intrecciate, ogni giorno, nell’affrontare le sfide del mercato editoriale. 
A quasi dieci anni dalla discesa in campo, Contrappunto ha raggiunto almeno due grandi traguardi, l’inaugurazione nell’ottobre 2010 dell’Osservatorio Letterario Italia-Cina e l’apertura a maggio 2011 di due divisioni estere, quella Spagnola e quella Americana. 
Specializzazione, innovazione e dinamicità sono le coordinate principali. Ma dietro c’è qualcosa di più. C’è la profonda ambizione di portare bellezza e magia con un approccio manageriale audace come un albero, umano come il suono delle parole.



Natascia, tu sei una manager culturale, in particolare dirigi da quasi dieci anni una literary agency. Qual è la tua definizione di management culturale?
La mia è una definizione che per forza di cose si rifà ad una visione molto più umanistica che scientifica. Nel corso degli anni ho scoperto che si chiama Humanistic Management e forse l’avrei chiamato anch’io così se avessi trovato questo termine prima. Ma in campo letterario Literary Management mi sembra a tutt’oggi la definizione migliore. Se te la posso riassumere in una frase icastica, è  gestire persone ben prima che parole, ben prima che libri. E non intendo solo scrittori, editori, ma innanzitutto gestire me stessa, le persone che lavorano con me e tutta una serie di relazioni interpersonali che ne discendono e che creano la rete.
Alle mie ragazze, al mio team, dico sempre “voi create ponti con le persone perché possano arrivare verso di noi”. A ciò si aggiunge l’idea del potere creativo, oserei dire, creatore della parola. Il Literary Management è diventato non solo cura della persona, ma una cura della parola che crea dalla bocca delle persone.

Come adoperi le competenze più tecniche e scientifiche del management?
Preferisco lavorare a partire dalla persona, dunque trovare il ruolo e dunque trovare i mezzi. Dal momento esperienziale trovare il progetto che considero un vestito da cucire addosso alle persone. E’ una sartoria artigianale di altissimo livello. E in tutto ciò siamo in due: io e la persona alla quale sto cucendo addosso.

 
In qualità di manager con approccio umanistico come ti sei rapportata al mercato?
Di fronte al rischio di stare in una visione un po’ idealistica che avrebbe portato all’uscita dal mercato, la grande vittoria non è stata inserirsi nel mercato ma cambiare le coordinate del mercato e piegarle ai miei fini.


E per lo scrittore, cosa dire del suo rapporto con il mercato?
C’è una dissociazione enorme tra quello che può essere commercializzato con successo, anche economico, e quella che è l’esigenza di trasmettere il proprio messaggio. Una sfida che giorno dopo giorno viene vinta molto bene nel momento in cui si va a trovare quella fetta di mercato che esiste, che fa numeri ed economia, e là far nascere un nuovo bisogno. Ad esempio, si dice che il poeta sia il più sfortunato in ambito editoriale perché fa una cosa che non è di moda, che non vende. Niente di più falso. Quando il poeta inizia a trattare con la sua lirica - il mezzo espressivo che lui ha scelto - tematiche universali, anche molto specifiche, come la bioetica ad esempio, riesce a trovare tante opportunità e diventare principe della comunicazione in quell’argomento. Tu semini la tua piantina e dopo la foresta arriva. 

Ci vuole un talento particolare per fare il manager culturale?
A parere mio sì. C’è un talento particolare ed è l’essere passati verso le apparenti sconfitte più totali e l’essersi  realizzati in maniera creativa.

La mia domanda non era casuale perché è di talento che ti occupi più specificamente nella tua ultima iniziativa: i seminari di TalentCoaching. Come sono nati? C’è stato un fatto o una  persona che ti ha spinto a questa scelta?
Assolutamente sì. E’ una persona che non c’è più. Ne ho parlato durante il primo seminario perché ho voluto raccontare l’esigenza di questi approcci. Il talento del manager nasce sulla pelle. Sulla pelle scottata. Come ho detto, passa da un’apparente sconfitta ad una capacità creativa di risollevarsi. Ho avuto un mentore sotto questo profilo, nel peggiore dei modi, cioè tramite un lutto, il lutto di una mia scrittrice, la latinista e narratrice Luciana Caraggi. Aveva un’anima narrativa stupenda. Abbiamo iniziato il percorso insieme come per tutti gli scrittori che seguo. Lei però mi ha dato qualcosa di più. Era malata di cancro e quando ha vissuto gli ultimi momenti di vita in ospedale - quelli in cui faceva la chemio che sapeva benissimo essere l’ultima - ha continuato la revisione dell’ultimo libro di narrativa che stavamo gestendo. Avrebbe potuto dedicarsi al saluto di persone che non vedeva da tanto o creare un commiato di altra natura. Lei ha scelto di fare una cosa diversa. Tutte le volte in cui mi mandava messaggi anche molto accorati “stammi vicina adesso che sto morendo, stammi vicino ancora di più adesso che sto morendo” mi diceva “il lavoro che io faccio con te e che tu fai con me, quindi usare la scrittura per dire quello che ho dentro, è la più grande finestra verso il mondo che io possa avere in punto di morte”. Dopo la sua scomparsa ho vissuto una grande crisi di ideali. Che lavoro inutile che faccio, mi dicevo. Ma quello è stato il suo ultimo messaggio come a dire “no, stai facendo l’unica cosa che in punto di morte voglio che mi venga detta”. Di qui il coaching. La prima gemma è nata lì. I seminari partono da un inno alla vita. Anche da questo è nato l’albero che fa da logo a Contrappunto.
Questa è stata la risoluzione creativa di un’apparente sconfitta.

L’iniziativa dei seminari di Talent Coaching è nata a Torino. Pensi di proporla in altre città, anche all’estero?
In effetti la sto pensando itinerante, sempre con un numero limitato di persone in aula per lavorare meglio sul singolo individuo. Ci è già stato chiesto di andare a Roma, a Londra e a Milano. E noi andremo dove ci chiameranno!

Fare coaching significa lavorare sulla motivazione delle persone. Sono di più gli scrittori in erba ad aver bisogno di questo o non c’è un cliché?

No, non c’è un cliché. E non sono seminari solo per scrittori, ma per chi usa le parole. Anche la mamma che vuole trovare le parole giuste per incoraggiare il figlio a fare i compiti sta utilizzando la parola e quindi deve trovare l’automotivazione per raccontare questo incitamento. Non farà mai la scrittrice ma usa la parola tutti i giorni. 

La parola è evidentemente tutto nel tuo lavoro. Nella società attuale siamo immersi in un flusso di parole, a volte alcune tornano quasi come un ritornello. Vedi all’orizzonte un rischio di “svuotamento” della parola?
Non c’è svuotamento di significato. Non c’è un problema di svuotamento, ma quello di non considerarne le conseguenze. C’è piuttosto uno scadimento di responsabilità. E la responsabilità per chi comunica con le parole è fondamentale.

Nessun commento:

Posta un commento